Dal Rinascimento in poi

La villa di Andrea Carafa poi Loffredo di Trevico


Nel 1512 alla punta di Pizzofalcone, inglobando un baluardo aragonese acquisito nel 1509, a sua volta insediato nel punto più alto e strategico della cittadella fortificata altomedievale del Castrum Lucullanum, memoria della villa di Età repubblicana di Lucullo, il nobile condottiero Andrea Carafa (+1526) conte di Santa Severina (poi luogotenente del regno di Napoli dal 1523 fino alla morte) edificò la sua villa, come recitava un'epigrafe un tempo posta sull’originario portale di ingresso memore dell’antichità del luogo.  


ANDREAS CARAFA SANCTAE SEVERlNAE COMES LUCULLUM IMITATUS, PAR ILLI ANIMO, LICET OPIBUS lMPAR VILLAM HANC A FUNDAMENTIS EREXIT, ATQUE ITA  SANXIT: SENES EMERITI EA FRUUNTOR DELICATI IUVENES, ET INGLORll AB EA ARCEANTOR. QUI SECUS FAXIT, EX HAERES ESTO, PROXIMIORQUE SUCCEDlTO. ANNO DOMINI MDXII.


Il corpo principale, un blocco edilizio a corte in forma di fortezza, ancora oggi riconoscibile in situ per impianto e per le grandi arcate in conci di piperno affacciate sulla corte, era solo parte di un complesso esteso su tutto il pianoro sommitale alla punta e lungo la pendice est. Dalla spiaggia alla base della pendice est, una rampa, che intercettava nel suo sviluppo un lungo stabile ad uso di cavallerizza conduceva al piazzale di ingresso su cui affacciava il fronte principale della villa. Contiguo a nord era un vasto giardino esteso su un’ampia superficie quadrata perimetrata da mura, come un hortus conclusus.

La villa fu acquistata nel 1554 da Ferrante Loffredo (1501-1573), I marchese di Trevico, capitano d’arme, membro del Consiglio di guerra e dal 1553 soprintendente delle fortificazioni del regno, che attribuì ad essa la doppia funzione residenziale e militare ed avviò all’intorno numerose opere infrastrutturali e di complemento a servizio del grande complesso. Sostenne la costruzione di chiesa e convento di Monte di Dio, come sua chiesa di patronato, al termine della strada omonima e in adiacenza al grande giardino del palazzo, commissionata a Benvenuto Tortelli nel 1561 (Oggi il portale originario d’ingresso e l’ampiezza della navata corrispondono all’ingresso della Caserma Nino Bixio). Contribuì alla sistemazione della murazione al piede della rupe di Pizzofalcone realizzata tra 1564 e 1566 dal viceré don Pedro Afán de Ribera duca di Alcalà (l’attuale via Chiatamone) rimodellando la rupe alla punta con il taglio della pendice.

Anche il figlio Francesco (+1586), II marchese di Trevico, intraprese lavori di ammodernamento dal 1573, anno in cui riacquisì anche la proprietà del giardino della villa di Andrea Carafa, e li commissionò all'architetto, frate servita, Giovan Vincenzo Casale (1539-1593) a Napoli dal 1576 al 1584. Questi la riconfigurò con l’inserimento di nuove infrastrutture, studiati percorsi e decori, per il godimento delle viste dalla cima di Pizzofalcone. Imponenti murature di contenimento in arcate conformavano il largo antistante il palazzo ad est e contenevano anche una grande cisterna a servizio della villa e dei giardini. Progettati assi di percorrenza con loggiati conducevano a belvederi e fontane e il sistema delle scale al secondo cortile a quota più alta al grande salone-loggia al piano nobile in affaccio sul golfo dalla punta ad alta quota. Viste, schizzi e appunti di piante, loggette e fontane contenuti nell’album dell’architetto (Biblioteca Nacional di Madrid, B16-49) documentano il progetto. Documenti allegati alle cause legali, poi aperte dal fallimento del III marchese e per l’acquisizione di Stato della villa dopo i moti del 1647, descrivono logge, fontane e decori prodotti con il rinnovamento del Casale.

Inoltre, nel 1580 il II marchese di Trevico Francesco intraprese anche la costruzione delle rampe lungo la pendice ovest che commissionò a Benvenuto Tortelli; per indisponibilità finanziaria del committente i lavori si interruppero nel 1585 al termine dei primi due rampanti.

 

M.T. Como, Villa di Andrea Carafa di Santa Severina, Data Base del progetto Progetto PRIN PNRR 2022 Nea_Via – Neapolitan Villa. Antiquities and nature between Renaissance and Baroque.

Con relativa bibliografia e documenti. SITO web del progetto.

Dettaglio della veduta Étienne Du Pérac e Antoine Lafréry, "Nobile Cita di Napole […] suo vero Ritratto", 1566, su Pizzofalcone.

Casale, Giovanni Vincenzo, Vista del palacio del marqués de Trevico en Pizzofalcone, Nápoles, Dib/16/49/12-Dib/16/49/13, Biblioteca Digital Hispánica, www.bdh.bne.es

Un lungomare perduto della città

La sistemazione di via Santa Lucia come monumentale pubblico lungomare urbano avviata da Domenico Fontana nel 1597 e conclusa nel 1599, con la via Gusmana dal nome del viceré, Enrico de Guzmán conte di Olivares, fu, presumibilmente il primo iconico lungomare urbano della città. Opere idrauliche per l’ampliamento a mare della strada, la pavimentazione con basoli di pietra vulcanica e sul fronte marino la sistemazione di tre fontane non a caso incorniciate con fondale aperto verso il golfo definirono una delle immagini iconiche di Napoli fino alla grande colmata a mare ai piedi di Pizzofalcone e la costruzione del nuovo quartiere di Santa Lucia a cavallo tra Ottocento e Novecento. Con le colmate a mare la rupe di Pizzofalcone, seppure indirettamente coinvolta, subì la più forte alterazione, perché perse definitivamente visibilità e presenza nel contesto urbano. E ciò è stato particolarmente decisivo sul lato est del promontorio perché la figura dell’estesa superficie edificata in grandi blocchi edilizi del rione Santa Lucia non segue il profilo originario della costa e della strada al piede. Il progetto, in accordo con l’intenzione di provvedere ad estendere la città sul mare e di bonificare il borgo, presentato dall’ingegnere Lops in forma di richiesta di concessione nel 1883 e approvato tre anni dopo, si concluse solo negli anni trenta del Novecento. Una volta completata l’edificazione, una delle viste caratteristiche della città sul mare (Pizzofalcone da via Santa Lucia) è stata definitivamente negata, e la rupe del Monte Echia, protesa nel golfo con le ripide falesie in tufo nascosta alla vista. Numerose sono le foto storiche della seconda metà dell’Ottocento che ritraggono il Presidio di Pizzofalcone da via Santa Lucia, scattate fino a che i nuovi blocchi edilizi dell’omonimo quartiere ne compromisero la visione. La colmata con i grandi e alti blocchi edilizi del nuovo rione ridusse il lungomare di Santa Lucia a strada interna e nascose alla vista il profilo originario della costa dominato dalle irte pendici antropizzate del promontorio di Pizzofalcone che avevano costituito per secoli una delle immagini rappresentative della città occludendo con i nuovi blocchi l’edificato storico insediato lungo la pendice.

Il Presidio militare di Pizzofalcone

A metà Seicento il complesso della villa con le aree adiacenti acquisì l’esclusiva funzione militare (che ancora oggi in parte permane per la parte occupata dalla Caserma Nino Bixio) assumendo l’aspetto di un grande corpo edilizio separato dalla città. Ciò seguì i moti di Masaniello nel 1647, durante i quali la villa, per la posizione strategica, fu occupata dai rivoluzionari. Con il soffocamento della rivolta lo Stato acquisì il complesso (l’acquisto dagli eredi Loffredo si concluse però solo nel 1695 per controversie legali) e vi dispose le truppe spagnole. Veri e propri lavori di adattamento alla funzione militare furono eseguiti dal viceré Pietro Antonio d’Aragona (1666-71) che dispose un esteso ampliamento dei corpi edilizi con la costruzione delle celle per l’acquartieramento delle truppe intorno al giardino quadrilatero, su progetto degli ingegneri regi Francesco Antonio Picchiatti e Donato Cafaro. Nel corpo principale della villa originaria l’ambiente a sinistra del portale di ingresso fu adibito a Regia Parrocchia del presidio militare intitolata al SS. Rosario. Nel XVIII secolo nuovi corpi edilizi, tra cui il così detto Padiglione militare furono edificati alla punta di Pizzofalcone in adiacenza a sud con il corpo principale della villa.

Nel Decennio francese (1806-1815) con il distaccamento funzionale dell’edificio monumentale della villa a sede dell’Officio Topografico si ricavò un ingresso autonomo alla caserma passando attraverso ingresso e navata della chiesa di Monte di Dio che fu pertanto sventrata. Nel 1825, sul tetto dell’Officio Topografico, il corpo della villa originaria, fu costruita una specola. L’Officio topografico aveva in compito la produzione della rappresentazione grafica del territorio e della sua distribuzione e pertanto era dotato da innovativi strumenti e macchine, dalle camere lucide al torchio per litografie, per la rappresentazione del paesaggio. Per questo molti artisti paesaggisti si stanziarono in questo periodo all’intorno. La sistemazione dell’Officio Topografico in questo luogo non era casuale; si deve anche alla privilegiata osservazione, sulla baia e sulla città, che da qui si gode per altezza e posizione della faglia tufacea del monte Echia, utile all’esercizio topografico e geodetico. Agli anni della direzione di Ferdinando Visconti dell’Officio Topografico risale l’intenzione di realizzare una specola sulla punta sud del tetto, poi compiuta tra il 1824 e il 1825. L’articolazione del Presidio estesa su aree e corpi edilizi ad occupare tutta la punta di Pizzofalcone comprendendo la rampa alla pendice est con le strutture dell’antica cavallerizza ed edilizia alla pendice ovest, è documentata nel Piano del Quartiere di Pizzofalcone del 1835. Tra 1850 e 1856 tra l’originario edificio monumentale della villa e l’acquartieramento intorno all’originario giardino, proprio in luogo di uno dei padiglioni della loggia del Casale fu edificata la chiesa dell'Immacolata come nuova parrocchia militare su disegno dell'architetto comunale Francesco Jaoul.

La frana della punta del promontorio di Pizzofalcone nel 1868 innescò le successive trasformazioni: il Comune costruì il grande barbacane di contenimento, furono demoliti i corpi edilizi settecenteschi del Padiglione militare alla punta, nel 1885 l’edificio monumentale della villa poi Officio Topografico fu adibito ad Archivio militare che venne rimodernato nei decori, e diversi progetti di trasformazione urbana furono ideati ed altri parzialmente avviati.

Alessandro Baratta, Fidelissimae urbis Neapolitanae cum omnibus viis accurata et nova delineatio …, 1629, particolare con la via Gusmana ai piedi della rupe di Pizzofalcone ad est.

Cromek T. H., Naples, the Strada di Santa Lucia, acquarello, 1843 ca., Royal Collection, RCIN 917053.

Il nuovo quartiere di Santa Lucia in luogo del lungomare.

1895, G. Sommer, Veduta della strada di Santa Lucia durante la colmata.

Dettaglio con l’opera pubblica del Quartiere militare a Pizzofalcone nel frontespizio di C. Petra, Discurso al Ex.mo Señor D. Pedro Antonio de Aragon Virrey de Napoles, 1668.

Piano del Quartiere di Pizzofalcone con gli edifici che vi si contengono, 1835, eseguita su un rilievo di inizio Ottocento di Fridolino Giordano.

Il Presidio militare da Santa Lucia in una foto storica anonima intorno al 1845 (© Victoria & Albert Museum)

Il Presidio militare di Pizzofalcone nella Pianta ed alzata della città di Napoli di Paolo Petrini 1748.

La frana della punta di Pizzofalcone e più

antiche vicende delle pendici

La condizione rischiosa delle pendici della rupe di Pizzofalcone è documentata nella storia dalle numerose vicende di frane, dalle diverse imponenti opere di contenimento eseguite, da alcune peculiari forme costruite e dalle variegate proposte progettuali di questa parte urbana. Si racconta che Andrea Carafa di Santa Severina poiché sapeva che il monte era di un tufo fragile fece gettare nelle fondamenta della sua villa molte medaglie con la sua effige (Terminio 1631, 50v). Grandi opere di contenimento della pendice sud furono eseguite con il rimodernamento della villa con i Loffredo di Trevico.

Ad opere di sagomatura della punta di Pizzofalcone eseguite dopo la realizzazione della murazione litoranea negli anni ’60 del Cinquecento seguirono ripetuti episodi di caduta di materiale e frane, e conseguenti opere di consolidamento. Nel 1578 il regio ingegnere Benvenuto Tortelli indicò in una perizia le opere necessarie al consolidamento della punta soggetta a franamenti. Le rampe eseguite dallo stesso solo per i primi due tratti dovevano fungere insieme al collegamento e al contenimento della pendice ovest. La cronaca dei franamenti su questo tratto fino al completamento, avvenuto solo a metà Settecento, dimostra che il sistema completo assolse alla funzione di contenimento. Nel novembre 1668 si verificarono frane ai tratti della pendice su cui si poggiavano le nuove strutture dell’acquartieramento militare al perimetro del giardino; ed ancora alla punta su via del Chiatamone una caduta massi si ebbe nel 1674. Impegnativi lavori di consolidamento e il prolungamento delle sostruzioni cinquecentesche a contenimento del piazzale dinanzi alla villa furono intraprese in questi anni. Da quando poi il fronte edilizio si estese anche intorno alla punta della rupe al piede, nel Settecento, si registrarono diversi eventi di caduta massi e frane dalle pendici, soprattutto alla punta tagliata.  Tra le rampe e il versante est, ove non erano state realizzate opere di contenimento ma il taglio della pendice, continuava a manifestarsi “il continuo sfaldare del terreno”. L’altezza della rupe alla punta di circa 50 m richiedeva opere onerose, ancora più impegnative di quelle realizzate al fronte est a fine Cinquecento e consolidate il secolo successivo. Si richiedeva di “alzare un muraglione per rivestire la falda del monte di Pizzofalcone”, per evitare caduta di materiale. Il muro di fine Settecento non venne però realizzato. Difatti, nel 1813, anno del trasferimento dell’Ufficio Topografico nel complesso del Quartiere militare di Pizzofalcone, e proprio nel corpo della villa Carafa – Loffredo, per evitare la frequente caduta massi sugli edifici al piede del promontorio alla punta il capitano del Genio militare Del Giudice chiese autorizzazione alla costruzione di un grande muro a scarpa alla punta della rupe da realizzarsi in blocchi di tufo con rivestimento di pietra lavica e intonaco alla punta del promontorio che qui ne era sprovvista. Il progetto fu approvato nel 1814 ma non fu realizzato, e nuovi fenomeni franosi alla punta della rupe continuarono a manifestarsi nel 1817, 1822, 1829, 1830, 1831. Dopo l’ultimo episodio di distacchi nel 1831 i proprietari degli immobili sollecitarono in Tribunale l’esecuzione di opere di presidio della rupe alla punta, e la sentenza del gennaio 1834 intimò il Genio Militare di eseguire le riparazioni necessarie per evitare la minaccia di frana sugli edifici sottoposti. Nonostante le motivate richieste, presumibilmente per l’onere alla costruzione, e perseguendo quanto era stato fatto a metà Settecento, venne purtroppo realizzato un muro di solo rivestimento del fronte, ancora più esile di quello previsto nel 1814 e mancante di feritoie di drenaggio. La vulnerabilità dei fronti della rupe e la necessità di salvaguardarli adeguatamente fu evidente con l’ultimo gravissimo evento franoso che avvenne la sera del 28 gennaio del 1868. L’intera pendice alla punta della rupe che era stata rivestita dal muro nel 1834 franò, travolgendo la corona degli edifici settecenteschi insediati al piede, compromettendo quelli adiacenti, e causando sessanta morti e dieci feriti con clamore internazionale sui media. Le case travolte, tra cui quelle dei proprietari più volte risarciti dal Genio Militare nei meno impegnativi eventi franosi di inizio Ottocento, per la felice ubicazione sul lungomare accoglievano trattorie e una vineria ed erano in gran parte camere d’affitto per viaggiatori stranieri, che furono tra le principali vittime, cosicché il drammatico evento ebbe clamore internazionale. A seguito dell’evento il Comune prese in carico la rimozione delle macerie, la demolizione dei corpi edilizi compromessi del Padiglione Militare alla punta del promontorio, e la realizzazione di un barbacane a contenimento della punta e si aprì un lungo contenzioso tra il Genio Militare e i proprietari degli immobili, che si chiuse nel 1896 con la sentenza di colpevolezza del Genio Militare. Dopo lunghe trattative, nel 1885 il corpo della villa originaria, ove era l'Officio topografico, fu affidato alla Soprintendenza degli archivi di Napoli e adibito ad Archivio Militare. Furono eseguiti avori di adattamento e decoro dei fronti. I frequenti interventi di riparazione richiesti per il blocco monumentale della villa originaria sollevarono ipotesi di sostituzione edilizia principalmente per la parte alla punta della struttura, di particolare valore per posizione paesistica.

Foto storica del Presidio riattato a sede dell’Archivio Militare (passaggio 1885; 1889 decoro facciata) e del barbacane messo in opera dal Comune.

a) Stralcio della pianta allegata al Rapporto di perizia di Guerra A. nella causa tra la Direzione del Genio Militare di Napoli contro Luigi Scielzo ed altri, (ASN, Corte di Appello, Perizie, f. 141) indicante il centro e la base della frana; b) Bernoud A., foto della frana del monte Echia, 1868 (Archivio Storico Municipale di Napoli ASMN, Fondo fotografico); c) The Illustrated London News (1868), vol. 52, n. 1469, p. 149.

Progetti e demolizioni

A seguito della frana del 1868, i danni, l’inadeguato barbacane, le spese sostenute e le richieste di risarcimenti -a chiusura dei contenziosi tra la Caserma di Pizzofalcone e i proprietari degli edifici demoliti dalla frana - attivarono progetti di rinnovamento dell’area urbana e iniziative imprenditoriali. In primo luogo nel 1886 fu avviato l’ampliamento della città sul mare con il nuovo rione di Santa Lucia conclusosi negli anni ‘30 del Novecento. Inoltre, tra le diverse proposte avanzate per la riconfigurazione della rupe di Pizzofalcone con il barbacane, nel 1913 prevalse una concreta iniziativa. Questa prevedeva un accordo tra la Caserma (e per essa il Ministero e lo Stato), responsabile della frana e creditrice verso proprietari e Comune, e la Società Edilizia Monte Echia Napoli (SEMEN), rappresentata dall’architetto Lamont Young e altri. Con la cessione delle proprietà delle pendici, dei suoli alla punta di Pizzofalcone - compresa anche l’area di sedime della metà alla punta dell’edificio monumentale della Caserma (l’originaria villa dal 1885 adibita ad Archivio militare) - delle rampe di Pizzofalcone e altre strutture adiacenti, dal demanio alla SEMEN, quest’ultima si prendeva carico della sistemazione architettonica di pendice e punta e di rimborsare i proprietari. La SEMEN avrebbe ottenuto un profitto all’investimento attraverso gli esiti di un grandioso progetto di riconfigurazione della punta del promontorio: un palazzo per uffici che mascherava le pendici e un grande albergo in cima grazie anche alla sostituzione edilizia della metà sud del blocco edilizio monumentale. Il progetto non riuscì però ad ottenere la licenza edilizia dal Comune. Nel 1920 Lamont Young ottenne, invece, autorizzazione a costruire due ville ai lati delle rampe, una per sé, la villa Ebe, e l’altra per il socio banchiere Astarita su parte delle nuove proprietà SEMEN. La costruzione in cima fu invece frenata dalla mancata approvazione comunale del progetto e dalla difficile demolizione della metà sud del blocco edilizio monumentale, che era a carico della Caserma. Pur risolte queste ultime nel 1925, l’istituzione dell’Alto Commissariato con il DR del 15 agosto 1925 sancì anche che la proprietà della Caserma di Pizzofalcone e delle aree annesse passasse al Comune. La riconfigurazione della punta assunse così il carattere di piano comunale e si intraprese la demolizione della parte sud est dell’edificio monumentale. Questa seguì la linea del taglio tracciata dal progetto di Lamont Young e sul fronte amputato si appose una nuova facciata simile a quella del fronte principale rinnovata a fine Ottocento. La demolizione scoprì l’ammasso di tufo, roccia lavorata e muratura in opus caementicium dell’antico Castrum lucullanum, che fu lascito in situ.

La parte restante dell’edificio monumentale della villa originaria fu poco dopo danneggiato durante la Seconda guerra mondiale, nell’incursione aerea del 9 agosto 1943. La facciata principale crollò in gran parte alla zona d’ingresso e anche alcuni solai di copertura, travolgendo molti documenti dell’Archivio. Le lacune aperte nell’edificio monumentale furono poi reintegrate in conformità con forme, materiali e tecniche dell’ultimo assetto: furono ripristinati il portale principale in conci di piperno e gli elementi di decoro parietale in stucco, basamento e cornici delle finestre, apposti a fine Ottocento. L’avanzo dell’edificio monumentale della villa originaria fu ricomposto nella falsa unità configurata con la demolizione, conforme ai decori apposti a fine Ottocento.

Dopo la guerra diverse furono le proposte speculative per la punta, rimasta incompleta e scoperta dopo la demolizione, ma non ebbero esito. Il vincolo paesaggistico apposto nel 1958 pose fine agli interessi di edificazione, ma comunque restava disattesa la domanda di riconfigurazione di questa parte urbana. Solo recentemente, per il recupero di villa Ebe, che era stata interessata appena dopo l’acquisto del Comune da un incendio doloso, e in concomitanza con il finanziamento per la messa in sicurezza del costone di monte Echia, l’esito del concorso indetto dal Comune nel 2005 per il “salvataggio globale” del monte Echia, avviò l’esecuzione di un ascensore di collegamento dal piede al belvedere in cima. fu avviata una soluzione. Sebbene risultata complessa per la natura geologica della punta di Pizzofalcone, è stata da poco finalmente completata lasciando però ancora sospesi possibili modi di rigenerazione urbana della punta e di parte delle pendici.

Pianta allegata al D.R. 811, 1913 con indicazione della parte da demolire e dell’area di sedime dell’edificio monumentale da cedersi alla SEMEN.

Vista aerea della punta e del Presidio di Pizzofalcone.

La facciata principale della parte residua dell’edificio monumentale dilaniata dalle bombe del 4.9.1943 (Foto del 10.1944, ASNa, Segretariato nuovo III serie, B.2).

Vista attuale della facciata principale da via Santa Lucia.

Maria Teresa Como, Storia delle pendici della rupe di Pizzofalcone. Adattamento e identità per una rigenerazione urbana, in «Bollettino del Centro Calza Bini. New Green Deal: Towards Ecological and Human-centered Urban Development Strategies», xix, 2, 2019, pp. 537-557.


Maria Teresa Como, Immagini inconsuete e deformate come strumenti della ricerca storica. Una sperimentazione su un brano peculiare della città di Napoli, in La città globale. La condizione urbana come fenomeno pervasivo, a cura di Marco Pretelli, Rosa Tamborrino, Ines Tolic, Torino, AISU, 2020, pp. 3015-3026.


Maria Teresa Como, La rupe del Monte Echia tra Ottocento e Novecento nell’iconografia storica. Alla ricerca delle tracce autentiche delle architetture monumentali stratificate e dell’identità del luogo, in Storie di architettura e di città. Contributi e ricerche tra Ottocento e Novecento per la conoscenza e la tutela dei beni culturali, a cura di Pasquale Rossi, Roma, Il Cigno, 2020, pp. 15-31.


Maria Teresa Como, Uno strano recupero per un’identità incompresa. Il caso del Presidio militare di Pizzofalcone, in Città e guerra. Difese, distruzioni, permanenze delle memorie e dell’immagine urbana, Atti del convegno, Napoli, 8-10 giugno 2023, a cura di Raffaele Amore, Maria Ines Pascariello, Alessandra Veropalumbo, Napoli, Federico II University Press e CIRICE, 2023.